Le grandi sfide di oggi, ovvero la pace, il pianeta e la democrazia, richiedono un approccio olistico e mai riduzionista, dove tutti i “magisteri” trovino il proprio posto. Ma soprattutto hanno bisogno di una comunità capace di “spezzare il pane della Scienza” con verità e carità.
L’Unione Europea, sin dalla sua fondazione, come recita il comunicato stampa, ha «contribuito a trasformare la maggior parte dell’Europa da un continente di guerra in un continente di pace». Anche destre e sinistre convergono nell’individuare, tra gli achievements dell’Unione, proprio l’aver assicurato oltre sei decenni di pace e prosperità ai propri cittadini, sostituendo alle armi tavoli negoziali democratici permanenti in cui gli Stati Membri possono confrontarsi.
Sono già passati 136 anni dal 1° maggio del 1886, quando i lavoratori di Chicago pagarono con la vita il diritto a una giornata lavorativa dignitosa.
Sono passati 75 anni dall’eccidio dei contadini di Portella della Ginestra. Era il 1° maggio 1947.
Da allora sono state approvate una moltitudine di importanti leggi a tutela del lavoro, eppure il lavoro resta conflittuale, precario, per pochi, povero, nero, discriminatorio, privo di adeguate garanzie.
Come è stato possibile che, in così tanto tempo, né i cittadini né i loro legislatori siano stati in grado di "salvare" il lavoro?
La copertura mediatica in occasione di eventi di portata globale è caratterizzata, in primo luogo, dalla episodicità, ovvero la tendenza a raccontare gli avvenimenti solo nei momenti salienti. La situazione in Ucraina è una vicenda lunga, ma solo nelle ultime settimane è diventata predominante nel racconto dei media.
Stupisce come nel dibattito pubblico la cultura della pace - unico vero dono della Pasqua - si sia improvvisamente eclissata. Almeno in Europa ha retto fino a un decennio fa, per i padri costituenti erano parole sorgive. Le parole di odio e le strategie di guerra, invece, animano gli imbarazzanti dibattiti degli esperti di geopolitica, discorsi che, come un fiammifero acceso, sono destinati a bruciare le foreste che danno ossigeno al mondo.
Sono gli anni dell’angoscia: l’imprevedibile e l’impreveduto abitano gli uomini e le donne. Dai social emergono inquietudini collettive, elaborate e restituite ad uno stato più o meno gassoso. Dagli spazi deboli della cultura si riafferma che il “mondo sia (di nuovo) completamente cambiato”, a distanza di soli due anni.
Contro la discriminazione di genere, occorre insistere sull’equa rappresentanza di donne e uomini negli organi direttivi delle aziende, sulla lotta al gender gap retributivo, sulle pratiche di conciliazione tra i tempi di vita e lavoro per favorire l’inclusione delle madri e dei padri, sui servizi di welfare cuciti su misura delle esigenze dei singoli lavoratori e sullo smart working che funziona come antidoto anche contro la discriminazione dei disabili. Un accomodamento ragionevole che consente loro di lavorare da luoghi più confortevoli di quelli aziendali.
La gestione dell’energia e la gestione della sicurezza, potrebbe far compiere alla stagione delle riforme, inaugurate con la Presidenza di David Sassoli al Parlamento Europeo, un ulteriore passo verso un NextGenerationEU per il clima. Tuttavia, come ha affermato anche il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, il 23 marzo al Senato della Repubblica, occorre finanziarla da risorse europee a sostegno del clima, dell’energia e della difesa. La storia sembra ritornare. Le origini del progetto europeo, con la nascita nel 1951 della Comunità economica del carbone e dell’acciaio – CECA, si fondavano proprio sull’esigenza di porre in comune le risorse energetiche.
«L’identità è una ricerca. In un contesto in cui ogni identità vuole essere unica senza confrontarsi con sé stessa, l’unica strada possibile è quella di intraprendere un percorso incentrato al dialogo». Con queste parole di Marco Damilano si è concluso il secondo appuntamento di #formpol di Comunità di Connessioni, svoltosi sabato 19 marzo a Roma nella Chiesa del Gesù. Insieme al già Direttore de L’Espresso e ad Antonio Funiciello, capo di gabinetto della Presidenza del Consiglio dei ministri, abbiamo continuato il nostro percorso di formazione, riflettendo sugli scenari politici nell’era del bio-potere.
Per il nostro editoriale abbiamo scelto parole della storia che vanno oltre la cronaca. Lo facciamo in silenzio e nel dolore per le conseguenze della guerra in corso. Queste parole sono solo una piccola fiamma di candela nelle notti illuminate dalle bombe. Ma sono anche la condizione interiore per sostare, ascoltare la storia e comprendere verso dove andare. Colpisce perché è già stato tutto scritto, lo dimostrano i testi che abbiamo scelto e vi offriamo da meditare. Nella storia ritorna tutto ciò che si dimentica. Il nostro compito però rimane quello di ricostruire (umanamente) il nostro futuro.