È certamente coraggioso il film candidato agli Oscar per l’Italia e vincitore del Leone d’argento a Venezia di quest’anno. Recitato in dialetto locale, con solo tre attori professionisti e gli altri interpreti presi fra la gente del luogo, il lungometraggio è stato girato in condizioni spesso proibitive, fra le nevi di alta montagna, in cui dominano sfumature di verde e di blu.
Tutto questo per narrare in maniera ancora più incisiva il vissuto, tra il 1944 ed il 1945, della piccola comunità di Vermiglio, ultimo comune della val di Sole, in Trentino-Alto Adige, zona di frontiera e paese natale del padre della regista, Maura Delpero.
Non va dimenticato, d’altra parte, che vermiglio è anche una tonalità di rosso vivace. Gradazione che non sembra apparire nella pellicola, ma che ben si associa alle dinamiche umane presenti nel racconto.
La storia segue l’andamento delle quattro stagioni dell’anno, scandite dalla musica del giradischi di Cesare, padre della famiglia Graziadei, protagonista della vicenda. Così, se l’inverno, nonostante la sua atmosfera fredda, appare come stagione di un nuovo innamoramento sulle note di Chopin, la primavera, con la cessazione ufficiale della guerra, sembra essere il momento dell’attesa di un nuovo futuro, ancora tutto da definire.
È nell’apparente momento della rinascita, tuttavia, che i turbamenti, lasciati dal conflitto mondiale, riaffiorano con prepotenza ed un evento sconvolge la vita dell’intera famiglia. L’esistenza della figlia maggiore Lucia come gli ideali di Cesare, descritto quale figura austera ma insieme dalla mente aperta, sono travolti, rivelandosi illusioni. Anche le piccole e grandi tensioni all’interno della casa deflagrano, accompagnate dall’irruenza musicale della tempesta estiva di Vivaldi. Dalla figlia adolescente, oppressa per le ristrettezze imposte dall’ambiente, al conflitto padre-figlio, la regista rivela con delicatezza e attraverso una fotografia sempre efficace la complessità delle relazioni umane. Particolare importanza è data al desiderio di emancipazione delle donne, in lotta con uno stile ancora profondamente patriarcale.
Il film delinea in questo modo il profilo di una società alla ricerca della propria anima, che i figli maschi dicono di non sapere cosa sia, mentre il padre acculturato la vorrebbe nutrire. È Cesare, infatti, ad affermare, quando acquista nuovi vinili nonostante le ristrettezze economiche, che questi ‘sono cibo per l’anima’.
La risposta a questa ricerca non verrà, però, dall’insegnante ma dalla figlia maggiore. Andando oltre la crisi personale e compiendo un cammino che le fa attraversare il male subito, Lucia saprà concretamente ritrovare l’amore per la sua primogenita e dare inizio a nuova vita, ribaltando i giudizi dei compaesani, che la volevano condannata ad una vita priva di ogni futuro.
Per porre termine a una guerra è sempre necessario il coraggio di un cammino di riconciliazione, a livello personale prima ancora che sociale. Certamente uno sviluppo culturale e istituzionale è fondamentale, ma senza un ritorno al cuore, richiamato con forza dall’ultima enciclica del papa, e senza una riconciliazione che ponga ciascuno in discussione, nessun conflitto può realmente trovare la sua pace.