Il tempo di oggi è caratterizzato da conflitti e guerre globali; l’ultimo conflitto tra Israele e Iran rappresenta il culmine dei dissapori che si sono accumulati nel corso degli anni e della storia. Lo stesso è accaduto tra Russia e Ucraina e spesso avviene così in molte altre parti del Mondo. In questa crisi di pace globale, l’uomo ha dimenticato l’importanza della categoria del perdono. Si parla molto di diplomazia, di relazioni, di giustizia, di pena e appunto di pace. Aspetti, questi tutti molto importanti, ma che escludono a priori la dimensione trascendente da cui deriva la vera Pace: il perdono.
La teologia cristiana ci narra delle «strutture di male» nella società e che discendono dal peccato personale [1]. Viviamo tutti all’interno di queste strutture e questo ci rende fragili. Una fragilità da cui, ad esempio, anche i mass media non sono del tutto immuni, ogni qualvolta in “tempo di guerra”, limitano l’attenzione agli aspetti esclusivamente bellici dei conflitti, con analisi e approfondimenti finalizzati a prevederne l’esito, decretando sin da subito vincitori e vinti. Un modello che si ripete in ogni guerra, in cui il perdonare non viene certamente annoverato come possibile soluzione.
Nell’enciclica Fratelli tutti[2], Papa Francesco spiega bene cosa significa non solo il perdono, ma anche la riconciliazione e come questi concetti si colleghino alle persone più deboli. Oggi il perdono è trascurato perché si pensa che la violenza e i conflitti siano una parte normale della vita e che l’atto di forza, per quanto legittimo o legittimato, sia l’unico idoneo a porre fine al conflitto; un pensiero che promuove così, indirettamente e spesso inconsapevolmente, la cultura della violenza e della sofferenza.
I termini perdono e riconciliazione hanno significati distinti. L’etimologia del termine perdono deriva dal latino per–donare, che significa donare completamente senza condizioni e differisce nettamente dalle interpretazioni moderne, dove il perdono viene spesso sostituito dal termine riconciliazione. Quest’ultima parola, infatti, ha radici etimologiche diverse: riconciliare significa semplicemente tornare allo stato precedente, che presumibilmente è quello di pace. Oggi si parla molto di riconciliazione e quasi mai di perdono, ma quale è la differenza tra i due concetti? Se la riconciliazione è preceduta dal perdono, come momento cognitivo e spirituale, il conflitto diventa impossibile e cessa definitivamente. Al contrario, con la sola riconciliazione, lo stato di pace, che ne deriva, ha il potenziale di mutare nuovamente in conflitto. Perdonare significa davvero lasciare indietro il passato e affacciarsi a una nuova strada. Come afferma il Papa nella sua enciclica Fratelli Tutti, il perdono apre la via a un futuro diverso, libero dalla ciclicità dei conflitti: «quel giudizio duro che porto nel cuore contro mio fratello o mia sorella, quella ferita non curata, quel male non perdonato, quel rancore che mi farà solo male, è un pezzetto di guerra che porto dentro, è un focolaio nel cuore, da spegnere perché non divampi in un incendio»[3].
Infatti, il perdono spegne il fuoco della vendetta, mentre la riconciliazione lo calma. I principi di fraternità – integrità, spiritualità intrinseca, epistemologia del cuore e l’energia dell’amore[4] – aiutano a perdonare. Agire secondo questi principi significa cercare i punti che ci uniscono. Per raggiungere questo stato è necessario contemplare Dio, nostro creatore comune. Limitarsi a una realtà immanente comporta sempre il rischio di ulteriori conflitti.
Concludo con un accenno alla parabola del buon Samaritano. Poniamoci questa domanda: il Samaritano ha perdonato o si è riconciliato con l’uomo ferito? In realtà, egli è il testimone di ciò che significa perdonare in vari modi, ma ci insegna anche che, dopo il perdono, per arrivare alla riconciliazione e allo stato di pace è necessario nutrire e non abbandonare quello stato: il Samaritano ha continuato a prendersi cura dell’uomo ferito e dopo il primo atto di aiuto non lo ha lasciato solo, lo ha portato in una locanda, lo ha curato ancora, e dovendo partire, lo ha tenuto a mente e nel cuore, impegnandosi con il padrone, a cui lo ha affidato, a pagare tutto al suo ritorno.
Come possiamo, dopo una simile testimonianza, riporre fiducia in documenti firmati e lasciati in un cassetto, sperando che abbiano forza e possano provocare cambiamenti senza una conversione interiore e un lavoro continuo da parte nostra? Ci siamo sempre meravigliati di questa parabola, ma cosa facciamo quotidianamente per assomigliare a questo ideale?
[1] GIOVANNI PAOLO II, Lettera Enciclica, Solicitudo rei socialis, n.36.
[2] FT 236.
[3] FT 243.
[4] Cfr. https://www.comunitadiconnessioni.org/articoli/la-fraternita-dalla-rivoluzione-francese-e-marx-a-papa-francesco/#:~:text=Cos%C3%AC%20anche%20Marx%20propone%20il,di%20prevenire%20i%20futuri%20conflitti.