C’è una bambina che corre. Salta da una baracca all’altra salutando i vari zii e zie acquisite del campo. Anche se è piena di sogni, la bimba la mattina non va a scuola. Eppure, lei vorrebbe, vorrebbe tanto. E così passano i giorni e gli anni, e la bimba continua a correre e sorridere. Un giorno finalmente si presentano dei maestri al campo: vorrebbero aiutare i bambini di là ad andare a scuola per liberare quell’entusiasmo intrappolato negli occhi. Ma niente da fare per lei, non c’è posto a sufficienza nel pulmino. Finalmente viene attivata una linea di trasporto che arriva fino al campo. Tutto è pronto perché la bimba inizi scuola: la cartella con i libri nuovi, il grembiule bianco appena stirato. Deve solo arrivare lunedì 15 gennaio e tutto per lei cambierà. Solo due giorni e una bambina scriverà finalmente il suo destino. Potrà correre nei vasti campi della conoscenza, saltare da un libro all’altro e scoprire il suo talento: chissà, forse scoprirà come curare un tumore o una fonte d’energia rinnovabile oppure -perché no!- vorrà semplicemente battersi per un mondo migliore. Ma adesso l’unica cosa importante è giocare il più possibile con i bimbi del campo perché da lunedì starà meno con loro. Ride felice, gioca e si nasconde per non esser trovata dagli altri; lei stessa però trova un filo, un filo elettrico scoperto ma che lei non doveva proprio scoprire. Black-out. Il tempo si è fermato e quel lunedì 15 gennaio non arriverà mai più. Quella bambina si chiamava Michelle e aveva 6 anni. Quei maestri si chiamano Simone e Raffaele e per loro, oggi, quello zaino pesa tantissimo e quel grembiule non è mai stato così bianco. Il banco di Michelle lunedì mattina rimarrà vuoto, come vuoto rimarrà il cuore dei genitori che disperano per non averla potuta mandare prima a scuola. Ma non tutti hanno il cuore così vuoto, forse perché è troppo distratto o forse perché anestetizzato e indifferente. D’altronde Michelle non è una semplice bambina a cui il destino è stato spezzato. Michelle è una bambina rom. Una bambina meno bambina di altri, nella cui infanzia, e morte, ingenuità e tragedia convivono e si intersecano come in una trama a doppio filo. Per il mondo il suo destino, a prescindere da quello che lei poteva dare, era già segnato. Fosse stata qualsiasi altra bambina di serie A, la sua morte sarebbe stata inaccettabile. Chi non si sarebbe indignato, non dico di fronte all’incuria di quei fili elettrici dispersi, non dico di fronte a dei bambini che vivono in condizioni che ledono la dignità dell’uomo, ma almeno per il fatto che una bambina non andasse a scuola! La condizione dei Rom, si sa, è parecchio dibattuta. Molti non sanno che i diritti fondamentali dell’uomo, tra cui quello all’infanzia e allo studio, sono riconosciuti anche agli apolidi irregolari. Ai Rom, invece, di diritto, è riconosciuto solo quello di vivere in situazioni disumane e di rimanere ai bordi delle nostre città a delinquere senza alcuna integrazione culturale e sociale. In queste ore, i giornali sono interessati a criticare i Rom che avrebbero “assaltato” l’ospedale dove Michelle era stata portata; notizia, peraltro, smentita e a cui seguiranno contestazioni. I detrattori, tuttavia, dimenticano che quei presunti violenti tempo fa erano proprio come Michelle: bambini che noi abbiamo abbandonato al loro destino, di cui abbiamo calpestato i diritti lasciando che non andassero a scuola. Ma le mie, le tue, le nostre parole non potranno mai dar voce al grido di Michelle se non insieme. Se oggi non t’indigni con me, se non dici a tutti che a pochi chilometri da te, e non nelle guerre lontane del mondo, ci sono bambini che vivono e muoiono ingiustamente, allora Michelle l’abbiamo uccisa anche un po’ noi [1].

[1] L’articolo è stato pubblicato anche nel Corriere della Sera del 15 gennaio 2024.