Gino Mazzoli, Amministratore Delegato di Allestimenti Sociali S.r.l., esperto di welfare e processi partecipativi, docente di Competenze psicologiche nella progettazione complessa presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha maturato un’esperienza trentennale nella gestione di progetti partecipati che promuovano la collaborazione tra i servizi sociali, educativi e sanitari e la comunità.

Secondo un Suo recente studio, al giorno d’oggi si assiste ad un incremento notevole della povertà, che colpisce principalmente il ceto medio italiano. A cosa ricondurrebbe tale aumento delle difficoltà economiche e della vulnerabilità umana e in quali zone geografiche è prevalentemente riscontrabile?

Secondo Università Bicocca, Banca d’Italia ed EURISPES, il 60% degli italiani fatica ad arrivare a fine mese. Tale situazione coinvolge evidentemente una fetta enorme del ceto medio; al Nord Italia il 30% della popolazione di quest’area è in difficoltà. Una lettura tutta materialistica (ad es: la mancanza di soldi) è assolutamente riduttiva. Ci sono aspettative altissime sul tenore di vita indotte da una narrazione fasulla sul progresso inarrestabile e illimitato che hanno portato le persone a indebitarsi. Questo fenomeno si è sviluppato parallelamente allo sbriciolamento dei legami sociali e familiari. Se persone che hanno lavorato a testa bassa per vent’anni si trovano in difficoltà, l’assenza di reti è il fattore chiave per rendere tali difficoltà insormontabili. Conoscere qualcuno non solo aiuta a trovare un lavoro, ma soprattutto sostiene nell’elaborazione di una difficoltà che, se protratta nel tempo, diventa causa di patologie psichiche. I dati sui disturbi psichici non vengono diffusi, ma già nel 2005 un europeo su quattro ne aveva sofferto l’anno precedente. Nella mia provincia (Reggio Emilia) i pazienti psichiatrici dei servizi pubblici sono aumentati, in 30 anni, di 20 volte. Gli psicofarmaci sono i farmaci più venduti in farmacia. C’è insomma un tasso continuo di sofferenza psichica che fa da contrappunto alla nostra società iperveloce e iperprestativa. La gente entra in crisi perché gli standard di perfezione che sono richiesti sul lavoro, nello sport, a scuola, a danza ecc. sono impossibili da sostenere, ma vengono proposti come naturali: “se vuoi puoi”.

Il fenomeno dell’impoverimento del ceto medio si registra già dall’inizio di questo millennio, si è espanso con la crisi della Lehman Brothers nel 2008 ed è decollato con la pandemia da COVID i cui effetti sono, innanzitutto, disperazione e depressione. I fattori psicologici e sociali sono quelli cruciali per leggere questo fenomeno che ha ovviamente ricadute anche sulla situazione finanziaria dei singoli e delle famiglie. Si tratta di non scambiare gli effetti con le cause.

Quali sono i vuoti da colmare o le migliorie da apportare al sistema italiano per rendere dignitosamente vivibile il nostro Paese?

L’Italia è un Paese molto difficile da governare, perché non ha un’identità nazionale forte ed è dominato da campanilismi, burocrazie, massonerie e visioni imprenditoriali spesso riduttive, da strapaese, che difficilmente lasciano passare piani illuminati provenienti dall’alto. Sono stati spesi fiumi di inchiostro per descrivere questa situazione ed è inutile accodarsi con altre geremiadi.  L’unica strada per costruire iniziative significative in Italia, a mio avviso, è partire dal basso generando tante iniziative locali e collegandole tra loro. La spesa pubblica locale è quella che vanta il maggior margine di discrezionalità. Tante iniziative locali collegate possono costruire politiche zonali, regionali e progressivamente, anche nazionali. Si tratta di vedere la scena e accompagnare la sua crescita. Serve, dunque, un’azione chirurgica che intervenga in modo specifico. Io mi occupo di welfare e al riguardo penso che non sia sufficiente costruire provvedimenti che indichino cosa si dovrebbe fare. L’asino casca sempre (in particolare in Italia) quando si tratta di mettere in pratica queste indicazioni generali quand’anche contenute in norme di legge. Nel momento in cui si indica una strada bisogna anche costruire le condizioni per la sua attuazione. L’accompagnamento è più importante dell’indicazione, come nel processo penale l’esecuzione della pena è spesso importante come l’emanazione della sentenza (a volte anche di più). Si tratta di allestire le condizioni perché le comunità locali siano più coese, dunque maggiormente in grado di produrre sostegno reciproco tra persone e famiglie. Bisogna, quindi, lavorare con le scuole facendo fare ai giovani e ai bambini (fin dalle scuole materne) esperienze di intervento nella società, conoscenza dei problemi, costruzione di azioni che inducano fiducia verso il mondo e verso il futuro, affinché si diffonda una cultura di maggiore apertura verso gli altri, allestendo occasioni di convivialità (faticose perché le persone sono prevalentemente davanti a un device tutto il giorno) per ricostruire condizioni di fiducia reciproca. Senza un contesto coeso nessun provvedimento monetario o giuridico può modificare granché. Questo si può constatare nei Paesi del Nord Europa dove i servizi sociali e culturali ci sono, funzionano e sono finanziati, ma si impennano i tassi di suicidio.

Le chiamate alle urne degli ultimi anni denotano una sempre minore affluenza, generalmente correlata alla sfiducia nelle istituzioni e nella politica. Quali ritiene possano essere forme di aggregazione proficue che possono riattivare l’interesse della cosa pubblica e della politica? Qual è lo spazio sociale dove oggi si costruisce fiducia e senso di appartenenza?

L’illusione tradita sull’inarrestabilità del progresso ha prodotto una delusione radicale e una sfiducia profonda verso tutti i tipi di autorità, col rischio che la parte più sensibile dei cittadini finisca in un ritiro depressivo e la parte meno attrezzata diventi preda di messaggi autoritari e regressivi. Bisognerebbe investire in modo industriale sulla costruzione di piccoli cenacoli non autoreferenti, ma collegati dal basso, attraverso forme di impegno, anche su settori circoscritti come l’ambiente o la cura dei beni comuni: iniziative dove le persone possono toccare con mano gli esiti del loro lavoro senza differirli nel tempo (il differimento produrrebbe disaffezione) e senza confinarsi a grandi discorsi, che rischiano di venire visti come impotenti e lontani. Funziona molto di più una cena di caseggiato dove si balla e si canta che un incontro dove si spiegano le magnifiche sorti e progressive o i disastri devastanti delle politiche dell’ambiente. Vanno costruiti messaggi positivi e questi non possono costruirsi attraverso la sola dimensione logico discorsiva. Quest’ultima va messa in gioco come passaggio successivo all’allestimento di incontri basati sull’emisfero destro del cervello. La svolta consiste nel costruire una massa critica di piccole iniziative locali.  Il macro-discorso calato dall’alto non funziona più.

Il terzo settore rappresenta ancora un’opportunità di incontro tra le varie generazioni di giovani e anziani, considerata la trasformazione digitale e l’avvento dei social?

Se parliamo di volontariato e associazionismo è in corso una trasformazione molto profonda che vede un calo di iscrizioni e di militanza nelle organizzazioni tradizionali e presenze intermittenti e incostanti in nuove aggregazioni informali, che pure gestiscono iniziative utili (soprattutto nel mondo giovanile). La solidarietà non è sparita, ma sta assumendo nuove forme. L’ultima rilevazione Istat dice che la maggioranza degli italiani preferisce svolgere il volontariato in modo individuale e non aggregato. È un effetto dello sbriciolamento dei legami sociali e della crisi dell’autorità.

In tutti i posti in cui mi capita di lavorare suggerisco di porre attenzione a queste organizzazioni informali, perché possono essere valorizzate non per integrarle nei tavoli tradizionali in cui si svolgono spesso vuote liturgie, ma perché vengano sostenute nelle scommesse che stanno costruendo. Serve, però, un lavoro di accompagnamento molto raffinato e complesso che non è nelle corde di molti dirigenti e operatori. Tuttavia, in molte amministrazioni locali e in molti centri di servizio al volontariato ci sono professionisti con attenzioni significative al riguardo. Se queste tante piccole attenzioni diventano una massa critica collegata, che periodicamente riflette insieme, il cambiamento può generarsi. La riflessione collettiva sulla prassi è ciò che manca di più in un mondo che tende a spingerci verso la solitudine.

Ovviamente non bisogna dimenticare le organizzazioni tradizionali che svolgono un ruolo importante nel nostro Paese; essendo popolate prevalentemente da persone della terza età va considerata questa novità demografica che il terzo settore attraversa: la frattura generazionale è forte, dunque è impossibile tenere insieme ventenni e sessantenni nella stessa organizzazione. Se è nato il termine boomer a sessant’anni dalla parola matusa significa che un distanziamento generazionale si è prodotto (finalmente: senza conflitto non si cresce): la semantica è segnale cruciale dei cambiamenti sociali. Allora si tratta di mettere a punto strategie adeguate per ascoltare la società e aiutare le diverse attese e le diverse propensioni a collocarsi dentro piste di lavoro differenti, ma comunicanti.

Oltre ad essere un noto studioso, lei è padre, quanto è importante l’ascolto nelle relazioni ed essere testimoni coerenti della propria vita per un rapporto generativo con i più giovani?

Senza alcuna retorica ritengo che i giovani (insieme ai migranti) siano il sensore più importante dei cambiamenti del mondo. Un mondo guidato da ultrasettantenni senza un’idea di futuro se escludiamo Papa Francesco che è l’unico vero leader di statura in circolazione.

I giovani, soprattutto gli under trenta, cresciuti in un contesto di precarietà, senza l’illusione del progresso illimitato, hanno un atteggiamento disincantato e concreto verso il futuro.

L’emblema è Greta Thunberg il cui discorso si può riassumere nel modo seguente: non abbiamo attese di palingenesi politiche come quelle che vi attraversavano negli anni 60; con i vostri conflitti politici avete prodotto in trent’anni (dal 1915 al 1945) decine di milioni di morti e avete chiuso la seconda guerra mondiale con due bombe atomiche. Il mondo ha già dato a causa delle vostre follie onnipotenti. a noi interessano cose essenziali: salvare questo pianeta che è in grave crisi e in cui vorremmo continuare a vivere noi e i nostri figli; dunque, cari adulti, evitate di inquinare tutto, non fate guerre, fateci mangiare cibi sani.

È un richiamo a scelte da compiere come mondo. I giovani vanno ascoltati. Io, quando i miei figli e i loro amici parlano, prendo appunti.  Sono molto capaci di surfare in questo mondo, il cui ritmo noi adulti spesso fatichiamo a reggere e dove non ci è facile orientarci. Essendo molto porosi rispetto ai cambiamenti e alla precarietà del futuro sono attraversati anche da nuove patologie psichiche: l’aumento della sofferenza  psichica nella fascia 11-18 anni è enorme (i ricoveri per diagnosi e cura o in strutture residenziali psichiatriche anche fuori provincia, gli atti di autolesionismo, i tentati suicidi si sono moltiplicati con numeri spaventosi in questi ultimi anni): il covid, i  lockdown, la mancanza di scuola in presenza e, dunque, di contatto relazionale, hanno sdoganato ansie che erano sottotraccia, pronte per esplodere.

Il contributo che possiamo portare noi adulti è abbassare la soglia delle prestazioni richieste a loro per accedere alla nostra società e custodire la memoria, vista non come una teca fissa da contemplare, ma come la funzione che collega le diverse esperienze che si vivono: i giovani ne attraversano tante, ma spesso sembrano non trattenere memoria delle diverse esperienze che vengono vissute e del modo con cui ognuna di esse sia interdipendente con l’altra. Noi che abbiamo più anni dovremmo aiutarli a ricordare che la connessione e la riflessione intorno all’esperienza producono l’apprendimento decisivo per poter vivere una vita degna di quella infinita e meravigliosa complessità di cui sono fatte le persone.