Intervista al Cardinale Domenico Battaglia, Arcivescovo Metropolita di Napoli
Carissima Eminenza, che piacere trovarla in questo periodo che ci arreca una doppia gioia: la sua Nomina a Cardinale e il Natale di Gesù alle porte. Siamo in una fase del mondo dove sembra prevalere un inverno… spesso si sente parlare di inverno sociale, inverno demografico e inverno delle istituzioni. Citando don Tonino Bello, possiamo già vedere le “gemme della primavera sbocciare”? È realmente così?
È vero, viviamo un tempo in cui l’inverno sembra avvolgere il cuore dell’umanità: un freddo sociale, demografico, le tempeste delle guerre che non sembrano placarsi e che rischiano di spegnere la speranza in molti. Ma quello che diceva Don Tonino Bello è vero, ed è la sorgente della nostra fiducia di uomini e credenti: ogni inverno porta in sé la promessa della primavera, ogni croce conoscerà la resurrezione. Lo stesso don Tonino diceva che per quanto la notte del Golgota fosse terribile, la croce avrebbe avuto nella nostra vita una collocazione provvisoria, perché siamo fatti per la resurrezione! Sì la primavera arriva, arriverà! E le “gemme” sono già presenti, e sbocciano ogni volta che un gesto d’amore, un atto di giustizia o una scelta di fraternità rompe il gelo dell’indifferenza. Sono gemme visibili, che vanno custodite e che è possibile rintracciare nel sorriso di chi aiuta, nella mano che si tende verso chi è ai margini, nella luce della fede che illumina anche le notti più buie, spingendo a non tirare i remi in barca ma a mettersi in gioco per amore e con amore, sui passi del Risorto.
Il 7 Dicembre scorso, Papa Francesco l’ha creata Cardinale. Da uomo di missione e da sempre sul passo degli ultimi, quali emozioni e quali sfide ha suscitato questa nomina in Lei?
La nomina a Cardinale è per me un dono inaspettato, ma anche una chiamata a una maggiore responsabilità. Un impegno ad allargare il cuore e gli orizzonti. Le emozioni sono state tante: gratitudine, trepidazione, e il profondo desiderio di continuare a servire. Restando me stesso: anche per questo se mi chiama don Mimmo invece che eminenza mi fa più felice. Vede, ho sempre vissuto il ministero come un cammino accanto agli ultimi, e questa nomina non cambia la mia direzione, anzi la rafforza. La sfida è quella di non perdere mai di vista il Vangelo, di annunciarlo con passione e di rimanere fedele alla strada della prossimità, dell’ascolto e del servizio, soprattutto in un mondo che troppo spesso esclude e dimentica chi è fragile.
Cara Eminenza, sappiamo anche il suo impegno per i giovani e i giovanissimi. Il mondo d’oggi pone una grande attenzione verso le nuove generazioni, che soffrono poiché hanno perso riferimenti. Quali possono essere i piccoli passi possibili degli adulti?
I giovani hanno bisogno di adulti autentici, capaci di essere testimoni più che maestri. Il problema non sono loro ma gli adulti. Lo dico spesso e proprio per questo da qualche anno la Chiesa di Napoli sta lavorando a un processo capace proprio di coinvolgere gli adulti, di farli cooperare tra loro per il bene dei più piccoli, sia a livello personale che di enti, associazioni, istituzioni. Si tratta del Patto Educativo. Gli adulti devono imparare a mettersi in ascolto, a costruire spazi di dialogo e a offrire non solo parole, ma esempi di vita, soprattutto di vita comunitaria sana, fondata sull’armonia del “noi” e non sull’idolatria dell’“io”. È importante costruire una comunità educante, fare rete, dar vita a un sistema che consenta ai giovani, ai bambini e ai ragazzi di essere visti, di vedere valorizzati i propri talenti, di essere accompagnati da una comunità ampia. Non possiamo lasciarli soli davanti a un futuro che spesso sembra incerto: occorre seminare speranza, offrendo strumenti per orientarsi e radici solide su cui costruire.
Eminenza, Lei che vivendo a Napoli osserva in questo periodo dell’anno la bellezza culturale e spirituale del presepio, possiamo dire che ogni bambino che nasce nell’indigenza è un piccolo Gesù Bambino? Se sì, a suo avviso chi dovrebbe ridurre questa discrepanza economica e sociale della comunità mondiale?
Ogni bambino che nasce è una promessa di Dio, un dono che ci parla di speranza e futuro. I bambini che nascono nell’indigenza, nel dolore, nei contesti di povertà estrema, sono certamente come il Bambino di Betlemme: portano con sé la luce che sfida il buio del mondo. Ridurre questa discrepanza economica e sociale è una responsabilità di tutti, ma in particolare dei governi, delle istituzioni e di chi ha maggiori risorse. Tuttavia, anche ognuno di noi, nel proprio piccolo, è chiamato a fare la sua parte: nessun gesto di solidarietà è troppo piccolo per non fare la differenza.
In ultimo, l’anno sta volgendo al termine. Da uomo di Dio, cosa augura alla Chiesa e al mondo per questo nuovo anno che verrà?
Auguro alla Chiesa di continuare a essere una casa aperta, come ci chiede Papa Francesco, un luogo di accoglienza e misericordia, dove chiunque possa trovare conforto e speranza. E auguro al mondo di ritrovare il senso della fraternità, della pace e della giustizia. Che il tempo che si apre dinanzi a noi, tempo giubilare di liberazione e giustizia, sia un tempo di rinascita, dove imparare a prendersi cura gli uni degli altri e della nostra casa comune, il pianeta. E, soprattutto, che tutti possano riscoprire la forza dell’amore, che è il vero motore del cambiamento e la radice di ogni felicità. Proprio come ci insegna il Vangelo.